GLI ANNI '50Un urlo di guerra: è arrivato Ghiggia!Dalla retrocessione alla pronta risalita attraverso una galleria di personaggi matti, grandiosi o umili, comunque straordinari: da Bronée a Galli, da Pandolfini a Cardarelli fino ai "grandissimi". Come Alcide...
Il 16 luglio 1950 dilagarono in Brasile, e principalmente a Rio de Janiero,
disperazione, strazi e suicidi. Tutto per un gol, segnato dall'uruguaiano Alcide
Ghiggia. Si
concludeva quel giorno il primo Campionato del Mondo del dopoguerra. L'Italia
era virtualmente in carica dal 1938, quando si era confermata campione a Parigi.
Il Brasile, Paese organizzatore, aveva preparato scenari memorabili, a cominciare
da uno stadio che con i suoi 120.000 posti, al cospetto degli altri diventava
gigante tra pigmei. E soprattutto, il Brasile aveva allestito una squadra ritenuta
imbattibile. Naturalmente entrò nel girone finale, con l'Uruguay, la
Spagna e la Svezia, che aveva eliminato l'Italia. Un esercito di fuori classeEra in marcia verso Roma un esercito di fuoriclasse: sarebbe arrivato scaglionato nel tempo, spesso avrebbe dimostrato solo un valore antico e appannato. Ghiggia, che appannato non era, rappresentava una delle avanguardie. Era stato preceduto dal danese Helge Bronée. Avete presente Paul Gascoigne, nella sua fantasmagoria di umori? Bronée gli somigliava. Bravo ma lunatico, talvolta dilagava in campo e volte sembrava assente, fervido oppure abbandonato. Di quei tipi insomma che é difficile gestire. Il suo ingaggio tra l'altro costò alla Roma un sacrificio enorme, perché dovette rinunciare a Gipo Viani, uno dei suoi rifondatori, e a Vincenzo Biancone, il fedele responsabile della Segreteria, il depositario di tutti i segreti giallorossi, il testimone di tutte le vicende: Biancone c'era dal primo giorno. Viani aveva avuto Bronée nel Palermo ed erano state scintille, Biancone non sopportò il sacrificio dell'allenatore: entrò nello statI della Nazionale. Alla guida delIa Roma arrivò, come sappiamo, Mario Varglien che poco prima aveva allenato la JuventusUomini importantiE arrivarono anche uomini importanti: la mezzala Egisto Pandolfini, nazionale, il centromediano Piero Grosso, l'ala sinistra Mario Renosto, il terzino Azimonti. Oltre all'inafferrabile ma geniale Bronée. Mica male.Quali considerazioni si potevano fare, nel momento del ritorno della Roma in serie A? La prima, era relativa ad una coincidenza di date. La Roma concluse il torneo di serie B pareggiando a Verona, il 22 giugno 1952, e furono feste e canti, abbracci e lacrime di gioia. Esattamente dieci anni prima, il 14 giugno 1942, tra feste e canti e abbracci e lacrime di gioia, la Roma aveva conquistato lo scudetto. Eppure, il giugno 1952 non era meno importante del giugno 1942, perché faceva giustizia di tutti gli equivoci, riscattava molti errori; chiudeva un'epoca leggendaria ma contraddittoria. Adesso non c'era più spazio per le approssimazioni, si andava affermando una mentalità speculativa. La guerra aveva bruciato tutte le illusioni, aveva cancellato i sogni. Il cinema non raccontava più storie banali, l'ispirazione veniva dalla dura realtà quotidiana. Maestrelli romanistaUn'altra considerazione riguardava un personaggio che era entrato nel cuore dei romanisti e sarebbe diventato un simbolo per i laziali: Tommaso Maestrelli. Nella Roma retrocessa c'era anche lui: era venuto insieme con Tontodonati tre anni prima, quando l'ottavo re di Roma, Amadei, aveva abbandonato il trono giallorosso per trasferirsi all'Inter. Amadei era convinto che finché avesse giocato nella Roma non sarebbe andato in Nazionale. In realtà, signoreggiavano quelli del Torino. Comunque, i fatti gli diedero ragione: dalla maglia nerazzurra interista Amadei passò subito a quella azzurra della Nazionale: proprio con quellidel Torino, anche se era solo una partita sperimentale, a Madrid. Poi, purtroppo, quelli del Torino dovette sostituirli stabilmente, perché non c'erano più. Dunque venne Maestrelli e non ebbe fortuna. Tommaso fu coinvolto nella grave crisi che soffocava la Roma, giocò quasi tutte le partite e sempre a livelli notevoli, ma la Roma era ormai risucchiata dal gorgo della retrocessione. E quando arrivò Viani, proclamò che gente come Maestrelli e Tontodonati non eraadatta alla serie B, e li mise in lista di trasferimento. Viani, per l'attacco, puntò tutto su Carletto Galli «testina d'oro»: pochi muscoli tanto cervello, un'idea di fragilità e di belIezza. Ma «testina d'oro» sapeva combattere e soffrire. Fu infatti il capocannoniere della Roma che adesso poteva festeggiare il ritorno, mentre del malinconico Maestrelli e del mancato goleador Tontodonati sbiadiva il ricordo. L'avventura romana di Tommaso si era conclusa con una sconfitta. E' facile immaginare il senso del suo scudetto laziale, molti anni dopo: i significati che conteneva, gli orgogli, le rivincite. Entusiasmo contagiosoLa carovana giallorossa era dunque ripartita, e percorreva con rinnovati slanci
le ampie strade della serie A. Arrivò sesta, niente male, certo non ambiva
allo scudetto; ma quanti rimpianti assillavano i giallorossi: quell'eccellente
sesto posto era comunque un Inganno. Tratto da La mia Roma del Corriere dello Sport
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